La qualità per vincere

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Credo che il mio contributo ad una giornata dedicata alla qualità possa essere di aiuto come esperienza, perchè non pretendo di fornire un metodo generale, ma posso raccontare, oltre alle esperienze dirette, le idee che sono alla base di queste esperienze, e le idee che sono nate via via nella pratica. Quando partecipo a manifestazioni di questo tipo. la prima cosa che mi domando è: “Perchè mai mi hanno chiamato?” Me ne sono fatto un’idea e credo che uno dei motivi per i quali il mondo economico è interessato al mondo dello sport sia il fatto che abbiamo un problema in comune: bisogna vincere. La concorrenza è grande e vincere è fondamentale. Questo problema nel mondo sportivo ha fatto nascere. soprattutto tra i tifosi. molte idee sbagliate: è infatti molto diffusa l’opinione che chi vince ha fatto tutto bene, mentre chi ha perso ha fatto tutto male. Questo però non è del tutto vero. perché in un campionato anche se cinque squadre fanno le cose bene. quattro di queste perdono comunque. Cosa significa questo? Che nella nostra attività non basta “fare le cose bene”. bisogna farle meglio degli altri.
Nello sport non basta essere bravi, occorre essere meglio degli altri. che sono bravi anche loro; perchè altrimenti arriviamo secondi, terzi, quarti, quinti… E in Italia arrivare secondi è una vera tragedia. Lo abbiamo visto nei campionati del mondo di calcio. anche se la partita si è decisa solo ai calci di rigore. Nel mondo sportivo bisogna arrivare primi. e questa è la prima ricerca di qualità.. Infatti la qualità in se stessa per noi non esiste, esiste solo in rapporto con gli altri. Dobbiamo fare le cose meglio degli altri. Il secondo problema che accomuna sport e mondo economico riguarda la gestione delle persone. Fino a pochi anni fa si credeva che l’evoluzione tecnologica sarebbe stata determinante, più importante del fattore umano. Tuttora molte persone ritengono che i grandi atleti siano il risultato di prodotti biochimici, fisiologici, di macchine. ecc. Questo era uno dei motivi per i quali si pensava che la pallavolo italiana. per esempio. non potesse essere ai primi livelli mondiali. Gli americani vincevano e si diceva: “Cosa ci possiamo fare? Loro sono americani: hanno tutto. Noi italiani abbiamo meno. quindi non possiamo vincere come loro.” Poi le cose sono cambiate: abbiano vinto. perchè? Certamente ci siamo anche occupati dell’aspetto tecnologico. ma abbiamo vinto perchè noi pensiamo che il fattore umano continui ad essere decisivo, più decisivo del fattore tecnologico. Purtroppo nel nostro mondo questa affermazione ingenera malintesi. in quanto si tende a vedere e capire tutto o bianco o nero. Se si dice che il fattore umano è più importante del fattore tecnologico la traduzione è: “Per quella squadra il fattore tecnologico non è importante”. Non è cosi: il fattore tecnologico è importante. ma quello umano è più importante. E io spero che lo sarà sempre. In relazione alla gestione di uomini. se si dice che per vincere bisogna essere meglio degli altri. ci si pone il primo problema sulla qualità: quello del punto di riferimento. Che cos’è il punto di riferimento? lo. per esempio, in generale dico che sono basso, pecche, anche se sono alto un metro e settantasei. vivo in un ambiente nel quale la maggior parte dei giocatori è alta almeno un metro e novanta. Se mi confronto con gente normale. invece, posso considerarmi nella media. Occorre definire il punto di riferimento. Quando nel 1989 ho cominciato a lavorare con la nazionale, che veniva da una serie di sconfitte, per prima cosa ho dovuto individuare quale era il punto di riferimento come qualità. ossia qual era l’obiettivo. Dove volevamo arrivare? Dovevamo passare da noni a sesti. o quinti? Questo punto di riferimento determinava tutto il resto, e noi ne abbiamo scelto uno molto alto: arrivare ad essere nei primi due anni tra le quattro squadre più forti del mondo e in quattro anni tra le prime due. pecche il punto di riferimento è decisivo per stabilire la qualità di una squadra? Che cosa vuoi dire giocare bene? Se un giocatore schiaccia bene, come valutare se è un buon schiacciatore? Dipende con chi lo confrontiamo: se lo confrontiamo con i migliori schiacciatori del mondo forse non lo è, se lo confrontiamo con i migliori italiani forse sì, lo è. E questo è stato il primo problema che abbiamo affrontato nella nazionale italiana. poichè. visto che si parla molto di sport a livello nazionale, si dice: “Questo è un buon giocatore”. ed il punto di riferimento è a livello nazionale. E se lo confrontiamo con gli stranieri. ci viene detto: “Ah. ma quelli sono i migliori del mondo!” Ma se quell’atleta deve giocare nella nazionale, è proprio con loro che dobbiamo confrontarlo. E se una squadra vuole essere fra le migliori del mondo. occorre che al suo interno ci siano alcuni dei migliori giocatori del mondo. Oltre a definire quali sono i riferimenti. abbiamo anche fatto un’analisi statistica. perchè quando nella pallavolo si dice: “Questo è un bravo schiacciatore. la mette sempre gi ù”, occorre domandarsi: “Quante volte? Che percentuali ha?”
Per definire con precisione il punto di riferimento occorre sapere valutare noi stessi e gli altri con precisione. Quando non si sa effettivamente come sono i migliori, si tende a pensare che siano perfetti, quindi irraggiungibili. E questo modo di valutare l’avversario serve come stupendo alibi per dire: “Siccome sono perfetti, io non riuscirò mai ad essere come loro. Quindi rimango come sono.” In questo modo non si ha la motivazione per cambiare. Se invece si sa che nemmeno i migliori sono perfetti, allora l’obiettivo diventa raggiungibile, e se non lo si raggiunge è perchè si ha fallito, non perchè non è possibile. In questo modo si crea la sfida: possiamo O non possiamo arrivare a questo obiettivo?
Se avessimo scelto un diverso punto di riferimento avremmo cambiato completamente l’autoesigenza della qualità, che considero la chiave di svolta per cambiare una squadra. Parlo di autoesigenza, perchè finchè l’esigenza è imposta dall’allenatore non si può fare il salto di qualità. Il salto di qualità si fa quando l’autoesigenza è molto alta, quando diventare una delle prime squadre del mondo è l’obiettivo dei protagonisti della squadra, non solo dell’allenatore. Tutto questo per spiegare cosa significa vincere. Perché vincere contro gli avversari, fare le cose meglio degli altri è solo l’ultima tappa di un processo.
E anche l’idea della mentalità vincente a volte è fuorviante. Non credo che serva molto “caricare” i giocatori prima della partita. Certo, 10 facciamo, ma solo qualche volta, altrimenti non serve, ci si abitua. Ciò che conta è fare diversi passi che portano alla mentalità vincente, perchè questa si ottiene solo vincendo. La mentalità vincente non è un trucco psicologico.
Il problema è cosa significa Vincere. La prima vittoria che propongo ai miei giocatori, e che mi pongo io stesso, è battere un nemico terribile, anche perchè si nasconde, anche perchè noi non lo vogliamo mai affrontare, che di solito ci fa più paura anche dell’avversario più forte. E questo avversario sono i nostri difetti, i nostri limiti, le cose che non ci vengono bene, che non ci piacciono. Questa è la prima vittoria, perchè se non si Vince questa gara non c’è miglioramento, cioè aumento della qualità. È inutile dire: “La nostra squadra Vincerà. Però lui batte male e non impara a battere meglio, lui è uno che non riesce a mantenere la concentrazione e continuerà a non riuscirci”. Non c’è niente da fare: la prima vittoria è Vincere contro noi stessi. E dopo questa prima vittoria possiamo già cominciare ad avere una mentalità vincente, perchè sappiamo vincere i nostri difetti, e ancora non abbiamo battuto nessuna squadra. Il secondo passo è vincere contro le difficoltà, che è un’altra cosa rispetto a noi, perchè quando parlo dei nostri limiti parlo di limiti personali, oltre che della squadra, non limiti in generale. Poi ci sono altre difficoltà di ogni tipo che dobbiamo risolvere, che dobbiamo battere. La nostra squadra oggi è famosa a livello internazionale per un fatto che sembra banale, ma non lo è: siamo famosi perchè non ci lamentiamo mai. Sembra poco, ma non è poco. Potete controllare tutti i giornali dall’89 a oggi, non è mai capitato che dopo una sconfitta noi dicessimo: “È stato il fuso orario, avevamo un giocatore con un’indigestione, abbiamo dormito male, l’arbitro…” Mai. Non l’ho detto mai. Perché ? Perchè anche questo modo di comportarsi fa parte della mentalità Vincente. Tutti possono spiegare perchè non si è riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso. E per questo occorre vincere anche le piccole difficoltà. Ad esempio noi siamo una delle poche squadre italiane che quando va all’estero non si porta dietro gli spaghetti, l’olio, il prosciutto, la macchina del caffè. ..Si dice: “Poverini! Se non hanno gli spaghetti a mezzogiorno si deprimono”, però dopo bisogna giocare contro venticinquemila brasiliani, che urlano dall’inizio alla fine, e lì non ci dobbiamo deprimere, perchè siamo duri, dobbiamo vincere. Per le altre cose però non siamo così duri. È un po’ come preparare l’esercito per la guerra stando in un albergo a cinque stelle: “Stiamo in un albergo a cinque stelle così quando andiamo in guerra siamo in condizioni fisiche migliori.” Non credo che questo accada. Il passaggio dal fango dell’addestramento agli spari veri è comunque difficilissimo, ma almeno se siamo abituati al fango è già qualcosa.
Quindi noi non ci portiamo gli spaghetti, non ci alleniamo in posti ideali. perchè se ci alleniamo dove fa sempre fresco, quando poi dobbiamo giocare a Cuba, che è calda, perdiamo. Invece noi dobbiamo vincere, dove fa freddo e dove fa caldo, sempre. Non riuscire a vincere le difficoltà porta a quella che chiamo la “cultura degli alibi”, cioè il tentativo di attribuire il motivo di un nostro fallimento a qualcosa che non dipende da noi. Di solito ci si rifà a cose molto grandi, strutturali, storiche, del genere caratteristiche dei popoli (“Noi italiani siamo così, lo sono nei cromosomi, e allora non c’è niente da fare”). Ma la cultura degli alibi utilizza anche spiegazioni più banali. Nella pallavolo, ad esempio, si verifica questa situazione: lo schiacciatore, che riceve la palla un po’ staccata dalla rete e tira fuori, dice al palleggiatore “Prego, la palla più vicina”, il palleggiatore, che a sua volta ha ricevuto la palla un pò staccata e ha alzato male, si gira e dice alla ricezione “Ragazzi, la ricezione!”, quello che ha ricevuto la palla dall’avversario non può dirgli “Batti più facile”, allora dice “Quella luce mi dà nell’occhio”, allora devo chiamare gli elettricisti, invece di allenare Adottando la cultura degli alibi elimino la possibilità di utilizzare il feedback, che sta alla base dell’apprendimento.
Il terzo livello di vittoria è vincere contro gli avversari, e qui viene il problema della qualità, nostra e degli altri, ed il problema di misurarla. In tal senso le statistiche ci servono a non fidarci delle semplici impressioni e anche a misurare in cosa dobbiamo migliorare.
Ricerca della qualità non significa infatti ricerca della perfezione, perchè quella della perfezione è un’idea perdente, per il semplice motivo che non è possibile raggiungerla. Se si pretende la perfezione, otteniamo il risultato che il giocatore, vedendo che non ci riesce, comincia a considerarsi in modo negativo, perchè non raggiunge l’obiettivo che gli abbiamo dato. Uno dei compiti di un vero allenatore è saper individuare fra tutti gli elementi da migliorare in una partita quelli che sono decisivi per la vittoria. Questo significa stabilire delle priorità, e credo che sia una delle cose più difficili da fare. ma stabilire delle priorità è l’unico modo per guidare il processo che porta alla vittoria. Fra tutti i difetti dei giocatori occorre individuarne tre. e su quelli bisogna “martellare”, finchè non si ottiene il salto di qualità. mentre gli altri li tocchiamo. ma non possiamo pretendere per tutti 10 stesso livello di applicazione. Vorrei dire qualcosa anche sul metodo. n metodo, senza la conoscenza specifica, profonda di quello che uno fa, è una scatola vuota. Noi come squadra abbiamo applicato un metodo. ma la ragione vera per cui abbiamo fatto un salto di qualità è che la squadra gioca meglio, e perchè una squadra giochi meglio occorre che il suo allenatore sappia di pallavolo, prima che di psicologia, di metodi e di altro. Occorre quindi il metodo, ma soprattutto la conoscenza specifica. Per finire, vorrei sfatare un detto molto diffuso: “Squadra che vince non si tocca”. lo non sono d’accordo, perchè questo significa che prima o poi bisogna perdere, e poichè a me non piace perdere, penso che sia meglio cambiare qualcosa prima e non dopo avere perso. Se vediamo che la qualità potrebbe aumentare. ad esempio cambiando qualche giocatore, io sono convinto che sia meglio cambiare, anche se la squadra ha vinto tutto.

Julio Velasco