LA MOTIVAZIONE

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LA MOTIVAZIONE viene da dentro o da fuori?

Quando si parla di motivazione non si sa mai da che parte incominciare. Ci sono allenatori che ritengono che la motivazione sia un indefinibile dono di natura, per cui un atleta o la possiede o no. C’é chi, sentendosi come John Belushi “in missione per conto di Dio”, ritiene che la motivazione sia un dono di inestimabile valore da consegnare ai propri atleti nel momento in cui si ritenga giusto farlo. I primi di solito cercano di selezionare atleti simili a loro, circondandosi di persone che la pensano nel loro stesso modo dal punto di vista dell’atteggiamento o del concetto di squadra. Entrambi questi atteggiamenti non sono esaustivi. Pensare che gli atleti vogliano o non vogliano fare qualcosa “per natura” o che solo l’allenatore potrá darà loro la motivazione per farlo non è solo un ottica ipersemplificata, ma è del tutto negativa. Alcuni allenatori ritengono erroneamente che un atleta non sia motivato quando questi si oppone a fare tutto ciò che l’allenatore pretende. Ma spesso gli atleti che si oppongono alle direttive dell’allenatore sono, invece, fortemente motivati allo sport. Essi sono soltanto non motivati ad accettare le strutture e i metodi dettati dal loro allenatore. Alcuni atleti vogliono fare a modo loro, e quando fanno così, gli allenatori li considerano come un “problema disciplinare”, in special modo quegli allenatori che tendono a mantenere la loro posizione di potere all’interno della squadra. La fonte di conflitto tra allenatore ed atleta emerge spesso dal tentativo dell’allenatore di soddisfare le proprie esigenze attraverso la squadra, piuttosto che considerare le esigenze degli atleti.

Drop-out, coinvolgimento e divertimento Proviamo a concentrarci su due concetti importanti: 1) spesso il più grande impegno di un allenatore non è costruire la motivazione negli atleti, ma evitare di distruggere la motivazione intrinseca allo sport che essi già possiedono. 2) Gli allenatori dovrebbero strutturare gli allenamenti in forma divertente, organizzandoli in base alla varietà e al massimo coinvolgimento di tutti i giocatori.

Il primo punto assume una importanza decisiva soprattutto quando si ha a che fare con ragazzi di settore giovanile. Il fenomeno del “Drop Out”, dell’abbandono precoce dello sport, é un grande problema specialmente per gli sport come il nostro. La pallavolo, infatti, é uno sport molto “tecnico”, dove per riuscire a giocare divertendosi bisogna avere acquisito delle abilitá che richiedono tempo e pazienza e la cui costruzione passa attraverso esercitazioni che possono essere anche un po’… noiose. Secondo una importante ricerca sul drop out (Sapp & Hanbenstricker, 1978) i principali fattori di abbandono sono proprio: problemi con l’allenatore o con i compagni, l’eccesso di competizione, la noia e poi, ma soltanto dopo, altri interessi e infortuni. Ogni allenatore di settore giovanile dovrá dunque avere ben chiari i tre principali rischi di abbandono: i problemi con la sua persona o fra “compagni” di squadra, l’eccesso di competizione e la noia. Riguardo a quest’ultimo punto voglio ricordare un esempio abbastanza significativo che risale ad una mia esperienza un po’ lontana nel tempo ma per me molto formativa. Ero stato incaricato dalla mia societá (era il Cus Torino e si parla degli inizi degli anni ’90) di coordinare l’attivitá dei nostri istruttori di minivolley nella scuola elementare. Nel corso delle mie visite alle scuole ricordo un istruttore che, secondo la sua progressione didattica, stava insegnando il palleggio. L’immagine che vidi era quella di una quindicina di bambini di quarta elementare allineati davanti ad un muro e “costretti” a palleggiare contro il muro per venti minuti. Sono pronto a scommettere che di quei bambini oggi nessuno gioca a pallavolo. Perché per loro la pallavolo, non rappresenterá altro che quel muro grigio… Questo esempio ci serve dunque per arrivare al secondo punto: il divertimento e il coinvolgimento dei propri atleti. Se questo é importante in serie A, immaginerete che diventa assolutamente decisivo nelle categorie inferiori e nei settori giovanili.

Divertimento e coinvolgimento, a tutti i livelli dal settore giovanile in su, passa spesso attraverso un semplicissimo esercizio: il gioco 2 contro 2 o 3 contro 3 su campo ridotto! Non dimentichiamo mai di inserirlo nei nostri piani di allenamento. Ogni singolo atleta tocca centinaia di volte in piú il pallone, essendo sempre al “centro” dell’azione di gioco: coinvolgimento e divertimento appunto! Non temete che fare questi giochini vi faccia perdere sincronie ed automatismi del 6 contro 6: spesso succede l’esatto contrario!

Allenatori, motivatori e psicologi dello sport Alcuni allenatori oggi fanno propri quei pacchetti motivazionali, sussidi audiovisivi e consulenti che si autodefiniscono (a torto) psicologi dello sport. Molti di questi metodi sono superficiali. E costituiscono, tra l’altro un approccio a breve termine a quella che è invece una sfida a lungo termine. È come se in una macchina mettessimo nel motore una benzina “speciale” che permette di sviluppare per qualche ora una velocitá superiore. Ma terminata la benzina il motore torna ad essere quello di prima (forse un pó piú usurato). Gli interventi decisivi e duraturi nel tempo sono invece quelli che vanno a “modificare” strutturalmente il motore. Per fare questo crediamo che nessun allenatore possa delegare ad altri la propria responsabilità di dirigere la motivazione dei propri atleti. L’allenatore è parte troppo vitale della squadra per poter abdicare da questa responsabilità. Ma proprio per poter svolgere al meglio questo compito riteniamo importante che sia lo stesso allenatore a “motivarsi” magari appoggiandosi a dei consulenti veri che conoscono realmente il beneficio che la psicologia dello sport può costituire. La psicologia dello sport é una scienza, “l’arte” della motivazione é una cosa molto piú difficile da definire, ma facile da vendere.
Insomma: attenzione ai venditori di fumo.

Mauro Berruto