L’allenatore, l’atleta e il calciatore in modo particolare, conoscono che il mondo dello sport è spietato e che basta un nonnulla per distruggere il rapporto di fiducia con il mondo esterno: tutto ciò genera spesso un ulteriore rinforzo sulla paura di non farcela.
Il giovane giocatore teme che una sua prestazione negativa possa diventare un giudizio negativo su tutta la sua persona, soprattutto quando intorno a lui vi sono persone (genitori in testa e allenatore) che si aspettano molto da lui. Sicuramente lo stato ansioso si accentuerà, quando la gara sarà ritenuta particolarmente importante e significativa.
MA È PROPRIO SEMPRE NEGATIVA L’ANSIA?
Non è infatti lo sport a scatenare eventuali reazioni ansiose, ma è il nostro modo di vivere lo sport, che genera queste fastidiose sensazioni di disagio.
Questo succede quando si ha una grande motivazione al raggiungimento dell’obiettivo, infatti la stessa reazione ansiosa non è detto che il giocatore la debba provare per ogni gara.
Davanti ad una situazione ansiogena, il giocatore, se non è in grado di superare questo stato di difficoltà, potrà mettere in atto alcuni comportamenti di tipo difensivo (es. la fuga); spesso il desiderio di fuga si realizza attraverso un distanziamento psicologico dall’obiettivo.
Il giocatore effettuerà il riscaldamento pre-gara in modo superficiale, svogliato, più che sulla sua concentrazione, penserà al valore degli avversari e alle difficoltà che potrebbero insorgere e a volte si lamenterà di non sentirsi bene.
Un’altra modalità di reazione davanti all’ansia, è quella detta dell’immobilità.
Quando un giocatore utilizza questo tipo di difesa, diventerà contratto, rigido, il suo viso apparirà inespressivo e lo sguardo sarà impaurito ed assente.
Di fatto le tensioni lo immobilizzeranno e i suoi movimenti saranno impacciati oltre misura.
Quando un giovane giocatore vive queste sensazioni, è pervaso da una forte insicurezza, fa fatica a concentrarsi e a decidere una strategia agonistica corretta.
La confusione è sovrana nella sua testa, si modificano anche le capacità percettive, al punto di interpretare ciò che lo circonda come più negativo di quello che in realtà è e le difficoltà verranno amplificate.
Anche l’allenatore vive le stesse conflittualità, prima della gara è nervoso, in partita si “aggrappa” al più bravo, gli chiede di risolvere i problemi in campo, non tiene conto degli altri giocatori che potrebbero essergli di aiuto.
La sindrome ansiosa è personale, infatti non tutti i giocatori ansiosi presentano gli stessi sintomi: alcuni evidenzieranno la loro ansia maggiormente sul versante fisico, altri invece su quello comportamentale e psichico.
Il vero problema dell’ansia non è tanto quello della sua presenza, il vero problema è come l’allenatore e i giocatori la vivono.
Un dato di fatto è che non tutti i giocatori e gli allenatori percepiscono negativamente le sensazioni fisiche e psicologiche del pre-gara.
L’andamento dell’ansia subisce delle modificazioni man mano che ci si avvicina alla partita.
Vi sono giocatori ed allenatori che interpretano le tensioni fisiche come il segnale positivo dell’attivazione della “macchina atletica” che si prepara alla gara ed altri, quelli sicuramente più fragili psicologicamente, vivono molto male queste sensazioni, si spaventano ed attribuiscono ad esse solo ed esclusivamente una connotazione negativa in funzione della gara. Appena questi giocatori ed allenatori percepiscono un aumento del battito cardiaco o delle tensioni muscolari, pensano di non avere più le capacità di dirigere la squadra o di compiere una prestazione di buon livello.
Il problema di queste persone è che, buona parte delle loro energie, vengono assorbite dalla necessità di tenere sotto controllo queste sensazioni e così facendo, sottraggono una buona fetta di energia all’obiettivo della gara (condurre bene la squadra e giocare bene).
A livello professionistico, se l’allenatore e lo psicologo sono d’accordo, può esserci una serie di interventi da parte dello psicologo, differenti per ciascun giocatore.
E’ questo il momento in cui lo psicologo può agire solo se ha una profonda conoscenza del gruppo, dei singoli giocatori, della situazione gara e delle tecniche a sua disposizione.
Nelle ore e nei minuti prima della partita, si sviluppa nell’allenatore e nei giocatori un’altissima tensione, quasi un “picco” nel livello di attivazione.
E’ importante che venga ben gestito, in quanto un’alta tensione muscolare e psichica prolungata, può fare arrivare i giocatori esausti in campo.
L’entrare in palestra, aiuta generalmente ad abbassare il livello di attivazione dei giocatori, sebbene i diversi momenti della partita provocano brusche reazioni psicofisiche. Il tiro, il rimbalzo, il salto a due, i tiri liberi o su azione, il rigore, la punizione, il muro, la schiacciata a pochi secondi dal termine dell’incontro, attivano nel giocatore e nell’allenatore, reazioni fisiologiche ed emotive molto intense.
Ma colui che sopporta gran parte di questa tensione, senza la possibilità di scaricarla, è l’allenatore.
Intorno a lui ruota, infatti , tutto il peso tecnico-tattico ed emozionale della partita e, più di reazioni ansiose, sarebbe opportuno parlare di stress.
Il termine della partita non decreta automaticamente la caduta della tensione, il livello di attenzione si è probabilmente abbassato rispetto al picco iniziale, ma ciò non è sempre vero e dipende dal risultato e dalla performance avuta dal singolo giocatore e dalla squadra.
IL POST-GARA
La tensione post-gara si manifesta con:
1. aggressività: esibita particolarmente quando il giocatore non ha fornito (o crede) una buona prestazione. L’aggressività può essere rivolta verso gli arbitri, il pubblico, i compagni, gli avversari, verso se stesso; se è rivolta contro se stesso provoca reazioni depressive più o meno transitorie e coincide facilmente con la sconfitta;
2. euforia: più piacevole come sensazione, ma non riuscire a controllarla e contenerla provoca dei problemi (fantasie e pensieri sulle partite successive).
Sulla tensione post-gara si può intervenire nello spogliatoio a livello:
1) Corporeo: bagno caldo, massaggio, tecniche di rilassamento e di respirazione;
2) Cognitivo-emozionale: l’allenatore interviene fornendo informazioni e rassicurazioni molto brevi sulla partita (sia in caso di vittoria che di sconfitta) e preparare la squadra al prossimo incontro.
Bisogna comunque rilassarsi!
[/nextpage] [nextpage]Tutte le tecniche di rilassamento muscolare (training autogeno, rilassamento progressivo di Jacobson, biofeedback, yoga, meditazione Zen, musicoterapia, psicoterapia, ipnosi, altri metodi), hanno come obiettivo il controllo delle tensioni, la gestione dello stress e dell’ansia ed alcune si pongono anche come obiettivo la crescita interiore della persona, al fine di rimuovere la cause che originano l’insorgenza dell’ansia.Il primo obiettivo da centrare, con l’utilizzo di una tecnica di rilassamento muscolare, è quello di mettere il giocatore (o l’allenatore) in grado di percepire le proprie tensioni muscolari e soprattutto capire quali sono le zone del corpo dove queste tensioni si manifestano: fronte, collo, spalle, gambe, etc.
Il secondo passaggio permette al giocatore (o all’allenatore), di essere in grado di rilassare quelle zone del corpo dove si sono insediate le tensioni.
Il passo successivo si caratterizza nella capacità di infondere nel proprio corpo una sensazione di benessere generalizzato, imparando anche a controllare il respiro e il battito cardiaco.
L’utilizzo delle tecniche di rilassamento muscolare, può essere utilizzato solo dai 15-16 anni in su; prima è molto difficile poter far capire ai giovani il senso di ciò che si andrà a proporre.
( Prof. Maurizio Mondoni, Università Cattolica Milano )[/nextpage]